Contrappunti d’intime memorie. La fusione compatta dei sentimenti in Adriana Montalto
A cura di Elena Gradini
Vi sono luoghi che s’incardinano profondamente nell’animo umano e restano lì, sopiti nelle pieghe della memoria in attesa di riaffiorare. Di esplodere con l’urgenza che porta il pensiero prima, la mano poi a fissare sulla materia quella particolare emozione. Suoni, colori, vociare confuso e indistinto, il caos delle metropoli, il silenzio degli abbracci. Tutti questi fattori antropologici ben si adattano per descrivere la particolare cifra stilistica che contraddistingue la variegata e complessa produzione artistica di Adriana Montalto, artista che della pluralità materica ha fatto la sua ragion d’essere. Muovendosi tra pittura, scultura e design, ha tracciato nel corso della sua lunga carriera solchi profondi che vanno ad indagare le più svariate situazioni che inglobano l’essere umano. Concorre a creare quella particolare magia sospesa che alberga nelle sue opere la sua natura isolana, originaria di Caltagirone, unitamente al rigore accademico che ha acquisito negli anni della sua formazione. A Milano. La capitale del progetto, del saper fare bene. Della cristallizzazione dell’emozione. Creatività, impulso, emozione, rigore, si orchestrano così alla perfezione nei suoi lavori. Sculture diafane di corpi femminili allungati verso una tensione verticale che evoca una taciuta spiritualità, una dolcezza tutta femminile che non si scorgeva tanto marcata dai tempi del primo umanesimo fiorentino. Acrilici su tela; primitive testimonianze a graffio che, grazie all’impiego di colori squisitamente mediterranei catapultano giocoforza l’osservatore in quei mercati bagnati di sole mediterraneo. Luoghi dove sentirsi arabi e italici. Le sue figure sono totem verticali ove convive bene lo spirito che anima la creatività, la sensualità dell’animo tutta siciliana. A queste si accostano i quadri in metallo, moderni epigrammi, chiusi nella loro perfezione cristallina che tanto ricorda il Design made in Italy figlio della Brera anni Sessanta. Piace lasciarsi trasportare nelle opere della Montalto tra quei ricordi che evocano tanta Sicilia da una parte, certe scalinate trapuntate in ceramica policroma, unitamente ai dipinti in acrilico, in plexiglass, duttili, sinuosi e altrettanto algidi, ove s’annidano donne spigolose, taglienti come mantidi moderne, dai capelli di fuoco e gli occhi brucianti di modernità. Ancora l’artista ci schiaccia al di sotto delle sue alienanti metropoli, emblema della città moderna, caotica e impersonale. La città del ventunesimo secolo che fagocita e rigetta i suoi figli si palesa davanti all’occhio che spazia e non ha tempo di abituarsi a tali repentini sbalzi emozionali. Contrappunti, pause di squisita tenerezza femminile, paurose visioni urbane, motivi isolani, tutto convive nelle opere di Adriana Montalto che col pensiero e la mano, cattura moderne sinapsi, visioni di una società che scorre troppo veloce e che troppo poco è attenta alle sfumature etniche. Si coglie tanta società dei consumi, a voler ricordare Baudrillard. O, se vogliamo, tante Sicilie, come magistralmente ricordato dal suo conterraneo poeta e scrittore Gesualdo Bufalino.
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